lunedì 4 agosto 2008

Il tempio di Atena Scillezia sorgeva sulla punta rocciosa di Stalettì (?)

Dedicato all’ASSOCIAZIONE CULTURALE ATHENA di Stalettì, con l’augurio di buon lavoro
di Domenico Condito

A Stalettì (Catanzaro) si è costituita da poco l’«Associazione Culturale Athena». Il nome mi richiama un aspetto poco noto della storia del territorio di Stalettì, e approfitto della felice circostanza per condividerne la conoscenza con gli amici di “Utopie Calabresi” e i miei concittadini stalettesi. Mi riferisco all’ipotesi formulata dal prof. Giulio Giannelli, studioso di Storia Greca e Romana, nonché Direttore della Scuola Normale di Pisa negli anni sessanta, secondo il quale “proprio sulla tempestosa punta di Stalettì” i Greci dedicarono un santuario alla dea Atena. La teoria del prof. Giannelli è esposta nel volume “Culti e miti della Magna Grecia”, pubblicato nel 1922, e riedito nel 1963, nel capitolo dedicato alla città di Scillezio (Σκυλλήτιον – Scyllaceum). Naturalmente l’ipotesi necessita di una conferma archeologica, ma gli archeo-sacerdoti officianti in Calabria, per quanto validi e competenti, e molto apprezzati anche all’estero, si guardano bene dal contrariare il “Santo protettore” del patrimonio archeologico calabrese. Gli eroi o semi-dei, è risaputo, sono alquanto irritabili e bizzosi, pronti a scattare come abili “spadaccini” al venire meno della personale devozione dei loro adepti o ministri sacri. E le radici greche del territorio stalettese pare non siano un argomento di così alto gradimento colà dove si puote ciò che si vuole. Ma torniamo alla nostra dea “dagli occhi scintillanti” come il mare. In sintesi, le fonti letterarie antiche attestano la nascita e la diffusione in Magna Grecia del culto di Atena Scillezia, e l’esistenza di un tempio dedicato alla dea nel golfo scilacino (Golfo di Squillace). Il prof. Giannelli, ragionando sulle stesse fonti, riferisce la fondazione mitica del tempio di Atena Scillezia all’approdo di Ulisse nel golfo scilacino. E “con un processo assai comune – scrive il Giannelli – alla sorte di queste tradizioni mitiche, l’erezione del tempio si amplia nell’erezione della città stessa, e il mitico instauratore di un culto diventa l’ecista della città, in cui esso culto fiorì. Così i fondatori del culto e del tempio di Era Lacinia sono nella tradizione altrettanti ecisti di Crotone. Il particolare del naufragio (di Ulisse, n.d.s.) si può immaginare richiamato dal nome stesso della città, facile a confondersi e ad identificarsi con quello scoglio Scyllaceum, contro il quale di sovente andavano a frangersi le navi che tentavano il tempestosissimo passo di «Scilla e Cariddi»". Il Giannelli spiega, inoltre, dal suo punto di vista, l’origine del toponimo Scyllaceum, citando anche la posizione di G. Grasso (Rivista di Storia antica, XII, 1908-09, p. 27, n. 1) che “ravvicina i due nomi Scyllaceum e Scylacium, come provenienti dalla comune radice semitica skuola = roccia; e l’όρος Σκυλάκιον – l’odierna punta di Stalettì – così chiamato per la stessa ragione e dalla stessa radice del nome promontorio Scilleo, avrebbe dato il nome alla città di Scylacium e al sinus scylacinus. Checché si voglia pensare – continua il prof. Giannelli – della loro etimologia, è evidente l’affinità di suono – ché più di ogni altra s’impone – tra le due parole”. Di qui l’ipotesi dello studioso sull’origine del culto e sull’ubicazione del santuario di Atena Scillezia. “Questa denominazione – afferma il Giannelli – sarebbe stata assegnata alla dea con allusione ad un suo ben noto luogo di culto: e così si poteva trovare l’«Atena di Scillezio» anche in località lontane da Squillace, come si trovava l’Era del Lacinio, per non parlare d’altro, a Napoli, l’Era Argiva a Posidonia, in Campania e nel paese degli Eneti, l’Apollo delfico dovunque fossero Greci: come, nella chiese cattoliche, s’invoca la Madonna di Lourdes, il Santo Volto di Lucca, il Santo Bambino di Praga, anche fuori di queste città dove hanno fiorito e donde si sono diffusi quei culti famosi. E così l’Atena Scillezia doveva essere riguardata come la divinità che protegge dai naufragi; e i suoi santuari dovettero sorgere qua e là sulle coste tempestose ed infide della Salentina, del Golfo di Taranto e del Bruzio; primo e più noto fra tutti quello della punta di Stalettì, nel Golfo Scilacino, che la tradizione voleva fondato da Ulisse e dal quale la dea prendeva il nome. Nome che, in progresso di tempo, per affinità di suono e di significato, dovè richiamare alla mente, piuttosto che il promontorio Scillezio, quell’altra rupe Scillea, fatale alla navigazione: e Atena Scillezia o Scillea, una specie di divinità navisalvia, dovremo forse riconoscere su tutte quelle monete che portano disegnata la testa di Pallade coll’elmo sormontato dalla figura di Scilla. E che il culto di Atena fosse veramente in Scillezio il più importante, può ancora dimostrarlo il nome di Scolacium Minervium, assunto dalla città quando, nel 122 a.C., i Romani vi fondarono una colonia: nome che, al tempo di Nerva, si cambiò in quello di Colonia Minervia Nervia Augusta Scolacium. Il culto di Atena, fiorente in Scillezio, ci spiega come il νόστος di Ulisse facesse approdare anche in questo territorio l’eroe, le cui tappe sono di frequente segnate dal culto di quella dea, come quelle di Enea dal culto di Afrodite; e si può supporre che cercasse di spiegarne etimologicamente l’origine l’altra tradizione che faceva risalire agli Ateniesi, guidati da Menesteo, la fondazione della città; tradizione favorita dal fatto, probabilissimo come sembra, che l’Atena poliate della colonia attico-panellenica di Turii fu assai presto identificata con l’Atena Scillezia, conosciuta in tutto il Golfo di Taranto e venerata in special modo per l’appunto a Squillace”.
Alla fine del suo saggio il prof. Giannelli, dopo aver indagato le origini mitiche del tempio di Atena Scillezia, formula anche un’ipotesi sulla fondazione storica dello stesso santuario. “Potremmo domandarci – scrive – quali furono i Greci che dedicarono un santuario di Atena sulla tempestosa punta di Stalettì: l’ipotesi più probabile è in favore dei Locresi Epizefiri, i quali, come vedremo fra poco, giunsero nel Bruzio, in possesso del culto di Atena. E poiché, mediante un’intesa con gli indigeni, si misero subito in buoni rapporti con essi, così avranno potuto, senza difficoltà, porre uno scalo nel golfo di Scillezio: dal quale però avranno dovuto quasi subito ritirarsi, per far posto a Crotone che, alla fine del VII secolo, aveva tolto agli indigeni tutto il golfo di Scillezio fino a Caulonia. Ma il santuario della dea fu naturalmente rispettato dai nuovi occupanti”.
Non sappiamo se l’ipotesi del prof. Giannelli sarà mai confermata da evidenze archeologiche. La devastante speculazione edilizia, che si è abbattuta sul territorio di Stalettì nei decenni passati, lascia ben poche speranze. Ma nell’area segnalata dal prof. Giannelli, sorge la chiesa di Santa Maria del Mare, meglio nota agli studiosi come Santa Maria de Vetere Squillacio. La chiesa, secondo la prof.ssa Emilia Zinzi, sarebbe stata fondata nel VI secolo con ricostruzione dall’XI, e sorge a sud-est dell’area in cui dal 1986 è stata messa in luce dall’ École française de Rome la città tardoantica-altomedievale di Scillacium, patria di Cassiodoro, con la sua duplice cinta muraria. E proprio qui, durante la campagna di scavi del 1990, gli archeologi francesi comunicarono il rinvenimento, sullo stesso sito, dei resti di una antica fortificazione greca, confermando la fondazione della cittadella monastica di Cassiodoro su preesistenze di epoca greca. Sulla base di tutto ciò, sembra fin troppo facile, quasi banale, ipotizzare che il culto cristiano di Santa Maria del Mare abbia soppiantato il più antico culto greco di Atena Scillezia, conservandone il tratto connotativo più importante: l'essere invocata la Madonna per la protezione ai naviganti e alla gente di mare, proprio come la dea greca. Se così fosse, l’antica chiesa mariana potrebbe essere sorta sullo stesso sito del tempio di Atena Scillezia, e potrebbe a tutt’oggi nasconderne le sacre vestigia. Appunto, l’ipotesi sembra fin troppo banale, ma le spiegazioni più “economiche” si rivelano essere talvolta le più plausibili.

Antonio Nunziante, C’era una volta 
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Collezione privata

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